“Il dolore era atroce. Era come se qualcuno, con un fiammifero, mi avesse appiccato il fuoco alla schiena! Ricordo solo che mi stavo allungando per lavare il pavimento, e di colpo fu come se tutta la schiena prendesse fuoco. Rimasi in quella posizione per giorni, non riuscendo a raddrizzarmi. Non avevo mai provato un dolore del genere”, narra M., una casalinga di 50 anni e madre di due figli.

Il dolore dovuto al mal di schiena colpisce un cittadino europeo su cinque. E’ quanto pubblicato di recente dall’autorevole rivista medico-scientifica inglese The Lancet, che in tre diversi documenti offre una panoramica generale sul dolore lombare e sulle conseguenze di questa vera e propria “epidemia” a livello sociale ed economico. La lombalgia risulta essere la prima causa di disabilità in tutto il mondo; (più del cancro al polmone, intestino e seno, insieme).
In qualsiasi momento, circa 540 milioni di persone nel mondo stanno soffrendo di lombalgia e l’invalidità derivante da questa patologia è più alta in età lavorativa, e diventa ancora più importante considerando che spesso le possibilità di cambiare lavoro sono limitate.
Anche se la maggior parte degli episodi di lombalgia sono di breve durata, gli episodi ricorrenti sono comuni e il mal di schiena è sempre più inteso come una condizione invalidante di lunga durata, con un andamento variabile.

In questo articolo vedremo quali sono le più comuni cause di mal di schiena tra gli adulti giovani e di mezza età, cosa si può fare per alleviare il dolore o per prevenirlo e qual è il piano terapeutico più strategico per ricevere le cure migliori e più efficaci.

Quando una persona soffre di discopatia

La discopatia è una dicitura generica che indica una serie di alterazioni del disco intervertebrale e che può favorire la comparsa di ernie e portare, con il passare degli anni, ad artrosi vertebrale.
La rivista Fortune, a proposito dei dischi intervertebrali, dice: “Una volta superato un certo livello di degenerazione, il minimo sforzo — una cosa banale come starnutire o piegarsi per spostare uno stereo — può essere la goccia che fa traboccare il vaso”.

Cos’è il disco intervertebrale

È una struttura fibrocartilaginea a forma di cuscinetto piatto, tondeggiante e con uno spessore variabile dai 7 ai 10 mm in senso cranio- caudale, interposta tra i corpi vertebrali di due vertebre contigue.

Il disco può essere distinto in due parti:

– ANULUS FIBROSO: l’anello fibroso è una struttura fibrocartilaginea che racchiude e protegge il nucleo polposo. Presenta uno spessore maggiore nella sua porzione anteriore e in esso si possono distinguere una zona lamellare (più esterna, in cui le fibre sono disposte in strati concentrici) ed una zona di transizione (interna, in cui la disposizione delle fibre gli conferisce un aspetto più omogeneo).

– NUCLEO POLPOSO: si trova nella parte più interna del disco, si presenta con un aspetto gelatinoso poiché è costituito per l’80% da acqua e da MEC (Matrice extracellulare). E’ proprio grazie allo spostamento di acqua che il nucleo si deforma e si adatta alle forze di compressione a cui viene sottoposto durante le attività della vita quotidiana. Il nucleo polposo non si localizza perfettamente al centro del disco ma è dislocato più posteriormente dove risulta più sottile, meno ricco di fibre di collagene e quindi più suscettibile a rottura.

Il nucleo polposo è una struttura avascolare, cioè non presenta vasi sanguigni.

Il suo nutrimento è garantito da processi osmotici che avvengono a livello della matrice extracellulare, una sostanza gelatinosa che circonda le cellule ricca di glicoproteine, proteoglicani, collagene e acido ialuronico. Queste vengono prodotte dalla componente cellulare del nucleo, che ha un ruolo determinante nei meccanismi di degenerazione discale.

La degenerazione infatti ha inizio quando la parte cellule non riesce più a produrre, mantenere e riparare la matrice.

Come e quando inizia a degenerare il disco? Si può evitare?

Degenerazione del disco: fattori di rischio

Il processo degenerativo è stato diviso in 3 fasi separate:

  • Fase di Disfunzione: si osserva negli individui con età compresa fra i 15 e i 45 anni, caratterizzato da fessurazioni a livello dell’anulus fibroso e sinovite delle faccette articolari.
  • Fase di instabilità: si osserva in età compresa fra i 35 e i 70 anni. Caratterizzata dalla rottura del disco, disidratazione, lassità legamentosa e degenerazione delle faccette articolari.
  • Fase di stabilizzazione: si presenta negli individui con età superiore ai 60 anni, caratterizzata da ipertrofia ossea, rigidità articolare e anchilosi.

Con il passare del tempo il disco subisce notevoli cambiamenti in quasi la totalità dei soggetti.

La sua degenerazione è il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici ed ambientali che, associati ai fisiologici fenomeni di invecchiamento, lo portano a disidratarsi, assottigliarsi e a perdere progressivamente altezza e volume.

Fattori di rischio

Genetici

La componente genetica sembra avere un ruolo fondamentale nei meccanismi di degenerazione discale, contribuendo per un buon 70%. Per esempio troviamo polimorfismi dei geni che codificano per le componenti del disco (COL1, COL9, COL11, FN..) o polimorfismi coinvolti dell’alterazione dell’equilibrio fra processi anabolici e catabolici (MMP1,MMP3,PARK2). Inoltre, studi recenti, dimostrano che l’inizio del processo degenerativo è mediato soprattutto dal gene VDR (che codifica per il recettore della vitamina D).

Ambientali

  • Obesità: implicata sia per un fattore di origine meccanico che per le comorbidità ad essa correlate, ad esempio le patologie cardiovascolari che sembrano interferire con la perfusione discale.
  • Carichi assiali ripetuti: questi possono derivare da spostamenti di pesi associati a movimenti di torsione o flessione della colonna, da posizioni statiche mantenute per lunghi periodi o da attività lavorative notturne che ostacolano i normali processi di nutrimento del disco.
  • Abitudini di vita: specialmente il fumo, in quanto ostacola i meccanismi di perfusione a livello del disco.
  • Età: maggiore di 50/60 anni.
  • Sesso: Uomo-Donna in rapporto di 2:1.

Nella patogenesi della degenerazione discale, oltre ai fattori ambientali e genetici, contribuisce anche l’invecchiamento fisiologico che determina due fenomeni cruciali:

  • Senescenza: stato in cui le cellule smettono di proliferare e produrre le sostanze che compongono la MEC. Questa condizione di scarsa proliferazione deriva principalmente dalla riduzione di alcuni fattori di crescita, dell’apporto ematico e di quello nutritivo. La senescenza cellulare porta ad alterare gli equilibri catabolici ed anabolici, a favore dei primi.
  • Morte programmata: l’aumento del catabolismo della MEC del disco altera il microambiente intorno alle cellule innescando processi di apoptosi (morte cellulare programmata).

Cause

La discopatia viene distinta in diverse tipologie, in base alle cause che la determinano:

  • Discopatia traumatica: si verifica in seguito ad un trauma o a sforzi eccessivi.
  • Discopatia degenerativa: colpisce prevalentemente le persone anziane ed è determinata da fattori genetici, ambientali e da processi di invecchiamento fisiologico.
  • Discopatia infettiva: si sviluppa in seguito a infezioni.
  • Discopatia autoimmune/infiammatoria: provocata dall’azione di sostanze proinfiammatorie (citochine e istamina) presenti nel disco.

Conseguenze della degenerazione discale: protusioni ed ernie

La degenerazione del disco può portare, nel tempo, a complicanze che possono manifestarsi con un quadro clinico sintomatologico importante. A seguito della disidratazione e di una consistenza sempre più debole del disco, infatti, si tendono a formare delle fessurazioni a carattere circonferenziale o radiale.

In base alla loro localizzazione ed alla loro entità, possono generare due delle più frequenti e conosciute discopatie:

PROTUSIONE DISCALE: Si verifica quando il disco viene schiacciato e deformandosi esce fuori dal suo spazio naturale, con la possibilità di comprimere le strutture nervose. Si possono notare fenditure a livello del nucleo polposo e nella parte più interna dell’anulus, senza però la sua completa rottura.

ERNIA DISCALE: si verifica quando le fibre dell’anulus sono distrutte e si assiste alla fuoriuscita parziale o totale del nucleo polposo con eventuali compressioni mieloradicolari. L’ernia si forma con maggiore frequenza posteriormente, dove lo spessore del disco risulta più fragile.

In base alla sede vengono classificate in:

  • Mediane: quando si presentano posteriormente verso il canale vertebrale in posizione centrale.
  • Paramediane: quando sono poco deviate dalla linea mediana.
  • Intraforaminali: quando vanno ad occupare il forame di coniugazione che rappresenta lo spazio compreso tra due vertebre adiacenti attraverso il quale fuoriesce il nervo.
  • Extraforaminali: quando si presentano in posizione latero-esterna al forame di coniugazione.

In base alla quantità di nucleo polposo fuoriuscito, invece, distinguiamo:

  • Ernia contenuta: si presenta come uno stiramento delle fibre dell’anulus fibroso che vengono schiacciate dal nucleo polposo, il quale rimane integro e contenuto all’interno del disco anche grazie al legamento longitudinale posteriore.
  • Ernia protrusa: in questo caso l’ernia ha determinato la lesione del legamento longitudinale posteriore e sporge in modo più marcato nel canale vertebrale entrando direttamente in contatto con le strutture nervose. Il nucleo polposo rimane tuttavia ancora parzialmente nella sua naturale sede anatomica.
  • Ernia espulsa o migrata: in questo caso il nucleo polposo abbandona la sua naturale sede anatomica perdendo ogni rapporto di continuità con il disco e venendo a trovarsi nel canale vertebrale.

Alla degenerazione del disco si associano spesso alterazioni delle strutture vertebrali limitrofe, che derivano dall’aumento dello stress meccanico dovuto al deficit funzionale del disco (osteofitosi vertebrale, sclerosi delle limitanti, modifiche del soma vertebrale).

Sintomi

Cosa succede al paziente affetto da discopatia?

In realtà la discopatia degenerativa può rimanere silente a livello clinico, oppure provocare dei sintomi in base al distretto vertebrale interessato. I distretti più frequentemente colpiti sono quello CERVICALE e quello LOMBARE (nel 95% dei casi è coinvolto il tratto L4-L5).

Il dolore, quando è presente, può insorgere anche in assenza di compressione midollare o radicolare. All’interno del disco degenerato, infatti, si crea un accumulo di sostanze pro-infiammatorie che vanno a stimolare i nocicettori e i meccanocettori durante le sollecitazioni meccaniche e il movimento, responsabili della sua comparsa.

Quando alla degenerazione del disco si associa l’erniazione del nucleo polposo, si può presentare una sintomatologia di tipo radicolare a seconda del livello di lesioni e di compressione.

Nei casi più comuni la sintomatologia è rappresentata da:

  • Dolore: ha origine dalla radice nervosa compressa per poi irradiarsi lungo il territorio di innervazione. Se sono interessate le radici nervose che originano dalla regione lombare il dolore solitamente si manifesta nella parte bassa della schiena, del gluteo e della gamba. Se invece il problema interessa la regione cervicale i sintomi più comuni riguardano il collo, la spalla e il braccio.
  • Contrattura antalgica: il nostro corpo per proteggerci dal dolore blocca i movimenti irrigidendo la muscolatura. Tale rigidità aggrava ulteriormente il quadro sintomatologico perché aumenta la compressione sulle strutture vertebrali e sulla radice nervosa.
  • Disturbi sensitivi: sensazioni di formicolio, bruciore, scossa elettrica, tensione o altre alterazioni della sensibilità.
  • Disturbi motori: Riduzione della forza e della capacità di attivare i muscoli innervati dalla radice interessata.

Diagnosi

La diagnosi presuntiva di radicolopatia da ernia discale prevede:

  • Raccolta dati e Storia clinica del paziente.
  • Test di Funzionalità (flessibilità e ampiezza del movimento).
  • Test neurologici (deficit di forza e di sensibilità).

È possibile che vengano prescritti esami strumentali come una radiografia o una risonanza magnetica (RM), a cui se necessario vengono associate EMG o potenziali evocati per avere informazioni sul grado di conducibilità nervosa.

Trattamento

Un approccio integrato di tipo strumentale, propriocettivo e posturale rappresenta la scelta terapeutica migliore per una ripresa totale della funzionalità vertebrale.

L’utilizzo di FANS e antidolorifici si rivelano utili in una prima fase per la gestione del dolore e dell’infiammazione.

Anche l’ozono terapia rappresenta una valida opzione.

Le infiltrazioni infatti migliorano l’ossigenazione dei tessuti e in caso di ernia promuovono l’azione fagocitaria delle cellule immunitarie, favorendo e accelerando i processi di guarigione spontanea.

Tra le tecniche riabilitative, oltre all’utilizzo della terapia fisica che vede come principali protagonisti la laser terapia ad alta potenza, la radiofrequenza e la neuromodulazione, ricordiamo l’esercizio terapeutico.

L’esercizio terapeutico mirato consente di agire sulla postura, sull’elasticità e sul rinforzo muscolare, migliorando il controllo neuromotorio di tutte le strutture responsabili della corretta biomeccanica del movimento.

Stile di vita sano, esercizio fisico e corrette abitudini comportamentali giocano un ruolo prioritario nella gestione delle patologie discali.

La presenza di dischi intervertebrali più stretti è stata infatti associata a scarsa attività fisica (O’Sullivan et al.).

Invece, la riduzione del peso corporeo e delle cattive abitudini come il fumo, possono agire prevenendo e/o riducendo i fenomeni degenerativi a carico del disco.

Degenerazione discale non equivale sempre a DOLORE.

Non tutte le ernie, protrusioni o schiacciamenti sono responsabili di problematiche discali che causano dolore. Non è raro infatti trovare alla risonanza magnetica ernie o protrusioni anche in pazienti che non presentano dolore vertebrale. ( Boden et. al)

Molto spesso il dolore è determinato da un’errata biomeccanica vertebrale o da problematiche muscolari.

Da qui la necessità di includere, all’interno del percorso terapeutico, un’attenta analisi posturale che si avvale dell’utilizzo di apparecchiature all’avanguardia e non invasive per indagare sulla reale causa che ha scatenato il dolore.

Ciò consente di risolvere il problema, evitare le recidive ed impostare programmi di rieducazione posturale e funzionale altamente personalizzati.

Nei casi di mancato miglioramento, vengono poste indicazioni chirurgiche, con un ventaglio di tecniche a disposizione particolarmente ampio ed in continua evoluzione, a motivo dell’alto tasso di innovazione scientifica e tecnologica.

Si raccomanda di considerare l’intervento chirurgico in presenza di tutti i seguenti criteri:

  • Durata dei sintomi superiore a sei settimane
  • Dolore persistente non rispondente al trattamento analgesico
  • Fallimento, a giudizio congiunto del chirurgo e del paziente, di trattamenti conservativi efficaci adeguatamente condotti.

In mancanza di congruità dei suddetti parametri si impone una rivalutazione del caso.

Conclusioni

Il mal di schiena non risparmia nessuno. Ci vanno soggetti sia operai che impiegati. Può colpire uomini e donne, giovani e vecchi. Quando il dolore è ricorrente e incessante, può incidere sul lavoro, sul salario, sulla famiglia e sul proprio ruolo in famiglia, facendo soffrire anche a livello emotivo.
Valutazioni errate o tardive circa le migliori pratiche hanno portato molte persone a ricevere cure sbagliate.
L’esigenza è dunque quella di combattere malintesi diffusi sia nella popolazione, sia tra gli operatori sanitari, sulle cause, la prognosi e l’efficacia dei diversi trattamenti per la persona affetta da discopatia che si basano spesso su modelli di cura frammentati e soprattutto sorpassati.
Da qui la necessità di mettere a punto un METODO, in grado di “spegnere” il mal di schiena cronico, che vede al centro lo sviluppo di un approccio di cure multidisciplinare che prende in carico la persona nel suo complesso, seguendola per tutto il tempo necessario a curare le problematiche presenti con risultati significativi.

Obiettivo dello Staff Medico e di Riabilitazione che opera presso il Poliambulatorio Orice è utilizzare le nuove tecnologie e i metodi di cura più avanzati per garantire il ben-essere duraturo della persona con patologie della spina dorsale. Come disse il chirurgo ortopedico dott. D. K. McElroy: “Alcuni nascono con la schiena difettosa, e col passar degli anni naturalmente qualcosa va storto, ma la maggioranza dei casi si possono evitare vivendo in modo giudizioso”.

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